Artravelling: Marina Abramović: Donne nell'Arte del Novecento

sabato 30 aprile 2022

Marina Abramović: Donne nell'Arte del Novecento



“Con la performance ho trovato la possibilità di instaurare un dialogo con il pubblico attraverso uno scambio di energia, che tendeva a trasformare l’energia stessa. Non potevo più produrre una sola opera senza la presenza del pubblico, perché il pubblico mi dava l’energia di farlo, attraverso un’azione specifica, assimilarla e restituirla, per creare un vero e proprio campo di energia.” MA

Dagli anni cinquanta, quando l'arte astratta cominciava ad essere limitante, molti artisti iniziarono a cercare un contatto diverso con il pubblico organizzando "eventi" o "performance" che superavano le tecniche tradizionali artistiche per permettere allo spettatore di fare parte o vivere l'opera d'arte in maniera più personale. Guardando l'evoluzione dell'arte del novecento questo sembrava un passaggio obbligato, un'esigenza naturale. Le critiche e controversie che questo tipo di arte ha suscitato nel pubblico oramai hanno stufato. Se la Body Art, la Performance Art, il Dada e New Dada ed infine il Fluxus volevano costruire un'arte libera dagli schemi mentali precedenti, un'arte da assimilare direttamente senza spiegazioni, da vivere come atto di profondo cambiamento del pensiero umano senza il filtro della cultura preconfezionata e borghese, l'opera di Marina Abramović ha spesso subito critiche proprio per l'incomprensione che creano le sue performance su chi non le ha "vissute". Oltre all'artista anche lo spettatore deve essere "presente" e vivere l'esperienza coinvolgente della performance, per capire ed assimilare l'energia creata. (L'ultimo paragrafo di questo articolo è dedicato ad alcune delle performance più conosciute del novecento).

Il lavoro di Marina Abramović è perfettamente inserito negli obiettivi di questa nuova generazione di artisti, nel suo desiderio di evitare i materiali tradizionali basati su oggetti "artistici" come tela e pennello. Il fine è ridurre la distanza tra l'artista e il pubblico facendo del proprio corpo il vero mezzo espressivo affermando di concepire il corpo come il "punto di partenza per qualsiasi sviluppo spirituale".

Marina Abramović, è nata a Belgrado il 30 novembre 1946 è un'artista serba naturalizzata statunitense. Venne cresciuta dai nonni fino all'età di sei anni. Quando nacque suo fratello, iniziò a vivere con i suoi genitori e prese lezioni di pianoforte, francese e inglese. Sebbene non prendesse lezioni d'arte, si interessò presto alla pittura, incoraggiata anche dal padre. Entrambi i genitori erano partigiani nella seconda guerra mondiale: suo padre fu un comandante riconosciuto eroe nazionale, mentre sua madre, maggiore dell'esercito, fu nominata direttrice del Museo della Rivoluzione e Arte in Belgrado. Venne cresciuta con un'educazione al limite del militare, soprattutto impartita da una madre rigida ed inflessibile. In un'intervista, Abramović ha descritto la sua famiglia come una "borghesia rossa". Ha ricordato come sua madre: "ha preso il controllo completo in stile militare di me e mio fratello. Non mi è stato permesso di uscire di casa dopo le 22 di sera fino all'età di 29 anni... Le esibizioni in Jugoslavia che ho fatto prima delle 22 di sera perché dovevo essere a casa per quell'ora. È completamente folle, ma tutto ciò che successe in "The Firestar", tutto è stato fatto prima delle 22 di sera". Attraverso questa disciplina portata all'eccesso la Abramović ha formato il suo carattere forte e determinato che le ha permesso di affrontare le difficili e spesso pericolose prove a cui ha sottoposto il suo corpo durante le performance.

Ha studiato presso l'Accademia di Belle Arti di Belgrado dal 1965 al 1970. Ha completato i suoi studi post-laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Zagabria nel 1972. È tornata in Serbia e dal 1973 al 1975 ha insegnato all'Accademia di Belle Arti di Novi Sad, realizzando le sue prime esibizioni da solista. Nel 1976 decise di trasferirsi definitivamente ad Amsterdam. Nello stesso anno iniziò la collaborazione e la relazione (che durerà fino al 1988) con Ulay, artista tedesco. Tra i due nasce subito un'intesa artistica che sfocia in una profonda e travagliata relazione sentimentale. Realizzarono insieme una serie di performances dal titolo Relation Works, una forma estrema di body art, che li portò ad esplorare i limiti della resistenza fisica e psichica.

Ulay nasce a Solingen, vicino a Düsseldorf, durante il secondo conflitto mondiale, nel 1943. Figlio di un gerarca nazista, resta orfano dei genitori e privo di altri legami familiari. Come molti coetanei cresce con il senso di colpa di chi ha avuto parentele naziste, e in continua tensione causata dallo smembramento del suo paese, diviso in due territori, uno filo-occidentale (la Germania Ovest) e l'altro filo-sovietico (la Germania Est). Vive in maniera profondamente conflittuale le proprie origini, tanto da arrivare alla rinuncia del nome di famiglia e della nazionalità tedesca. Alla fine degli anni sessanta l'insofferenza verso il proprio paese lo spinge ad allontanarsi, lasciando moglie e figlio per trasferirsi ad Amsterdam, attratto dal movimento artistico olandese. Si occupa prevalentemente di fotografia analogica in cui sfrutta un uso creativo della Polaroid. Sviluppa una ricerca sulle nozioni di identità e corpo, la cultura di travestiti e transessuali, aforismi e performance attraverso le sue foto. Progressivamente l'approccio alla fotografia diventa sempre più complesso: l'espressione fotografica viene messa in rapporto con le performance dal vivo come nella serie Fototot e in There is a Criminal Touch To Art, entrambe del 1976.

Dopo 12 anni di amore e di sodalizio artistico, decidono di lasciarsi e di porre fine al loro rapporto con un'ultima performance, The Wall Walk in China: entrambi percorrono a piedi una parte della grande muraglia cinese partendo da capi opposti per incontrarsi a metà strada e dirsi addio. Le loro vite, sentimentale e artistica, si erano intrecciate a tal punto da diventare un legame quasi soffocante. Seguirono anni di ostilità e battaglie legali circa i diritti d'autore della loro produzione artistica: Ulay denunciò Marina per aver venduto autonomamente opere appartenenti ad entrambi. Nel settembre 2016 un giudice gli diede ragione e costrinse la Abramović a versargli 250.000 euro per violazione di un contratto firmato nel 1999. Dopo la fine della relazione, Ulay concentra la propria attività sul mezzo fotografico affrontando i temi dell'emarginazione e del nazionalismo. 

Abramović afferma di non sentirsi "né una serba, né una montenegrina ", ma un'ex jugoslava. "Quando le persone mi chiedono da dove vengo", dice, "non dico mai Serbia. Dico sempre che vengo da un paese che non esiste più ". 

Dal 1990 al 1995 Abramović è stato professore in visita all'Académie des Beaux-Arts di Parigi e all'Università delle Arti di Berlino. Nel 1997 vince il Leone d'oro alla Biennale di Venezia con l'esecuzione Balkan Baroque. La sua vita è stata, ed è tutt'ora, dedicata completamente all'Arte.


Le Performance:

Rhythm 10, 1973

In questa performance, esplora elementi di ritualità gestuale. Usando venti coltelli e due registratori, l'artista esegue un "gioco" nel quale i colpi ritmici di un coltello sono diretti tra le dita della mano aperta, in movimenti sempre più veloci. Ogni volta che si taglia deve prendere un nuovo coltello dalla fila dei venti e ricominciare. L'operazione viene registrata. Dopo essersi tagliata venti volte, viene riascoltata la registrazione, tentando di ripetere gli stessi movimenti e cercando di replicare gli errori, mescolando il passato con il presente. Questa performance tenta di esplorare le limitazioni fisiche e mentali del corpo: "Una volta che sei entrato nello stato dell'esecuzione, puoi spingere il tuo corpo a fare cose che non potresti assolutamente mai fare normalmente". In questo lavoro, per la prima volta, ha capito che poteva attingere all'energia del pubblico che interagiva con la sua performance, coinvolgendosi emotivamente; questo è diventato un concetto importante che ha caratterizzato gran parte del suo lavoro successivo.

Rhythm 0, 1974

Performance avvenuta nello Studio Morra a Napoli. La Abramović si presenta al pubblico posando sul tavolo 72 oggetti; l'artista sarebbe rimasta passivamente priva di volontà per un periodo di sei ore e gli spettatori avrebbero potuto usare liberamente su di lei quegli strumenti. Si era imposta tale prova in un tempo prefissato secondo una strategia di John Cage, adottata da molti altri artisti performativi allo scopo di dare un inizio e una fine a un evento non lineare. Voleva che gli spettatori diventassero collaboratori, piuttosto che osservatori passivi. Per le prime tre ore non successe praticamente nulla, a parte qualche timido approccio di pochi spettatori. Con l'avvicinarsi della fine della performance il pubblico si rese conto che la donna non avrebbe fatto niente per proteggersi: si divise così in due gruppi, uno protettivo ed uno che si spingeva sempre oltre fino ad arrivare al culmine in cui le fu messa in mano una pistola carica e il suo dito posto sul grilletto. Terminata la performance, durata 6 ore, l’artista ricomincia a muoversi e ad essere sé stessa. In quel momento gli spettatori si resero conto che era una persona e non un oggetto e scapparono terrorizzati. Per gli spettatori l'artista si era trasformata in un oggetto, in una bambola senza reazioni: in alcuni di essi la morale si era abbassata tanto che non la vedevano più come una persona; ritornati alla realtà si resero conto dell'errore e ne ebbero paura. Questo mostra l'importanza dei confini. Arrivata a casa la Abramović scoprì che una ciocca dei suoi capelli era diventata bianca per lo stress. Mettendo il proprio corpo in condizione di pericolo, anche fino alla morte, la Abramović aveva creato un'opera artistica molto seria.

Rhythm 5, 1974

La performance si concentra sul processo di purificazione fisica e mentale che l'artista mette in atto su se stessa. Il numero "5" fa riferimento a una grande stella a cinque punte, realizzata in legno al centro del palco e intrisa di petrolio. All'inizio dell'evento viene dato fuoco alla stella. A lato della stella la Abramović inizia a tagliarsi i capelli e le unghie di mani e piedi, gettando i ritagli nelle fiamme. L'atto finale consiste nell'artista stessa che si getta nel centro della stella, sdraiandosi in essa, circondata dalle fiamme. In questo caso il limite della performance viene superato nel momento in cui il fumo prodotto dalle fiamme avvolgono la Abramović fino a farla svenire. Quando il pubblico comprende cosa sta succedendo interviene e la estraggono dalla stella. La Abramović più tardi commentò questa esperienza: "Ero molto arrabbiata perché avevo capito che c'è un limite fisico: quando perdi conoscenza non puoi essere presente; non puoi esibirti." (Daneri).

Art Must Be Beautiful, 1975

Durante questa performance, l'artista si spazzola i capelli per un'ora con una spazzola di metallo nella mano destra e si pettina con un pettine di metallo nella sinistra mentre ripete il mantra "L'arte deve essere bella, l'artista deve essere bello" arrivando a sfregiarsi il volto ed a far sanguinare la cute.

Thomas Lips, 1975

In questa performance la Abramović porta all'estremo i limiti fisici del proprio corpo arrivando, tramite una serie di atti anche violenti a superarli. L'azione inizia mangiando un chilogrammo di miele con un cucchiaio d'argento, continua bevendo un litro di vino bianco e rompendo il bicchiere con la sua stessa mano. Il culmine della violenza viene raggiunto con atti di autolesionismo, come l'incisione di una stella a cinque punte praticata con un rasoio sul proprio ventre: questa immagine, cruda e violenta, diventa l'icona della performance art. Il corpo martoriato si stende quindi su una croce composta da blocchi di ghiaccio e un getto di aria calda puntata sul ventre le fa sanguinare la stella incisa. Per gli spettatori questa visione diviene presto insopportabile e l'artista viene tolta dalla croce. L'esecuzione diventa un dialogo tra l'artista e lo spettatore che non può restare impassibile e inattivo mentre assiste all'azione ed è quindi è costretto a reagire. La reazione dello spettatore diventa l'oggetto dell'esecuzione in un rapporto diretto di azione e reazione.

Freeing The Body, Freeing The Memory e Freeing The Voice, 1976

Sono una serie di esecuzioni in cui la Abramović si prefigge di purificare il proprio corpo e la propria mente e di scivolare in uno stato di incoscienza: nella prima si avvolge la testa in una sciarpa nera e inizia a muoversi a ritmo di un tamburo africano, balla finché non è completamente esausta e cade per terra, l'esecuzione dura otto ore; nella seconda l'artista rimane seduta con la testa reclinata all'indietro mentre pronuncia tutte le parole che è in grado di ricordare: parla in serbo-croato, ma anche inglese e olandese, recitando tutte le parole conosciute dalla propria mente; nella terza giace supina con la testa reclinata all'indietro, in modo che il suo volto sia visibile al pubblico, spalanca la bocca emettendo un unico suono atono, la reazione dello spettatore diventa l'esecuzione stessa.

Imponderabilia, 1977

In collaborazione con Ulay, la Abramović si esibisce a Bologna presso la Galleria d'Arte Moderna. Entrambi sono in nudi, ai lati di una stretta porta che consente l'ingresso nella galleria. Chi vuole entrare è costretto a passare in mezzo ai loro corpi.

Rest Energy, 1980

In collaborazione Ulay, presso il MoMA di New York, l'artista presenta una delle performance che lei stessa descrive come "dove io non ho il controllo". La performance si basa sulla Abramović che tiene un arco rivolto verso di sé, mentre Ulay ne tende la corda tirando verso il suo lato una freccia puntata sul cuore della donna. La performance durava solo quattro minuti. Sul petto degli artisti erano posti dei microfoni che aplificavano il suono dei loro battiti cardiaci che si facevano più frequenti man mano che il pericolo aumentava. In quest'esperienza si sottolineava la fragilità del confine tra la vita e la morte.

Balkan Baroque, 1997

Performance tenuta alla Biennale di Venezia in cui l'artista, seduta su 1.500 femori di bovino, li pulisce in modo ossessivo per 4 giorni e 6 ore, come atto di denuncia per la guerra e le innumerevoli morti avvenute in Jugoslavia. La progressione della performance è stata resa viscerale a causa del calore insopportabile del seminterrato e dell'odore fetido. La performance sottolinea il confronto tra l'impossibilità di pulire via tutto il sangue versato e l'incapacità di cancellare la vergogna della guerra trasformandolo in un concetto di portata universale.

La casa con vista sull'oceano, 2002

La Abramović ha trascorso dodici giorni alla Sean Kelly Gallery senza mangiare, scrivere o parlare. L'artista dormiva, beveva acqua, urinava, si faceva la doccia e guardava gli spettatori. Poteva camminare tra le tre stanze a disposizione (poste a due metri da terra), ma le scale che portavano al pavimento avevano pioli fatti di coltelli da macellaio. Col passare del tempo ha ritualizzato le attività della vita quotidiana, concentrandosi sul sé e sulla semplicità, eliminando tutti gli aspetti della narrativa e del dialogo. Questa azione è stata un passaggio naturale dal masochismo dei primi lavori a delle performance che si concentrano sulle idee di presenza e sull'energia condivisa con lo spettatore.

The artist is present, 2010

Al MoMA di New York in uno spazio aperto in cui è collocato solo un tavolo e due sedie, una a fronte dell'altra, l'artista seduta guarda i visitatori invitati a sedersi. La performance dura 736 ore ed è considerata una delle più lunghe performance della storia del MoMA. All'inizio, come spesso accade, la risposta dello spettatore è quasi nulla. Gli spettatori che arrivarono per primi vissero quasi divertiti e annoiati questo evento. Con il passare del tempo, avvicinandosi al momento della fine dell'evento, la gente cominicò ad accumularsi, tanto da creare code interminabili. Molti restavano ore a osservare chi partecipava, ed alcuni cercarono di sfruttare il momento di celebrità, denudandosi. Parteciparono anche personaggi famosi e lo stesso Ulay, creando un momento di grandissima commozione.

The Abramovic Method, 2012

La performance ha avuto luogo a Milano presso il PAC di via Palestro. Il "Metodo Abramović" nasce da una riflessione che l'artista ha sviluppato partendo dalle sue ultime tre performance: The House With the Ocean View (2002), Seven Easy Pieces (2005) e The Artist is Present (2010), che hanno segnato il suo modo di percepire il proprio lavoro in rapporto al pubblico. Il pubblico, guidato e motivato dall'artista, è invitato a vivere e sperimentare le sue "installazioni interattive". Lady Gaga ha partecipato a questa iniziativa, postando un video della performance.



Opere d'arte e artisti della performance Art

1916 Recitare la poesia sonora "Karawane"

Artista: Hugo Ball

Ball ha interpretato il poema sonoro "Karawane", in cui sillabe senza senso pronunciate secondo schemi che creavano ritmo ed emozione, ma senza assomigliare a un linguaggio conosciuto. La conseguente mancanza di senso intendeva far riflettere sull'incapacità delle potenze europee di risolvere i loro problemi diplomatici attraverso l'uso della discussione razionale, portando così alla prima guerra mondiale, paragonando la situazione politica all'episodio biblico della Torre di Babele. Ball indossa uno strano costume che ha lo scopo di allontanarlo ulteriormente dal suo pubblico e dall'ambiente quotidiano.

1952 Pezzo teatrale n. 1

Artista: John Cage

Il pezzo teatrale n. 1 di Cage, noto anche come "The Event", è stato uno spettacolo seminale per l'evoluzione del Neo-Dada, aprendo la strada alle collaborazioni del movimento e alla base multimediale. Concepito da Cage, il pezzo prevedeva diverse componenti di performance simultanee senza copione, tra cui una lettura di poesie, musica, danza, proiezioni di diapositive fotografiche, film e quattro pannelli di White Paintings di Robert Rauschenberg(1951) sospeso al soffitto a forma di croce. Mentre Cage stabiliva determinate linee guida per il mezzo utilizzato da ciascun artista, lasciava che ogni singolo artista determinasse le specifiche del proprio ruolo all'interno della performance, sottolineando la funzione del caso nel determinare il corso dell'evento.

1958 Le antropometrie del periodo blu

Artista: Yves Klein

Per le Antropometrie, Klein ha dipinto delle attrici con vernice blu e le ha fatte stendere sul pavimento rivestito di tele per creare forme e sagome dei loro corpi. In alcuni casi, Klein ha realizzato dipinti finiti da queste azioni; altre volte si limitava a eseguire qualche acrobazia davanti a un pubblico con l'accompagnamento di musica da camera. Rimuovendo tutte le barriere tra l'umano e il dipinto, Klein ha detto: "I modelli sono diventati pennelli viventi e secondo me la carne stessa ha applicato il colore alla superficie e con perfetta esattezza".

1959 18 Happenings

Artista: Allan Kaprow

Kaprow ha diviso la galleria in tre spazi collegati e nel corso di novanta minuti, Kaprow e gli altri artisti hanno eseguito semplici movimenti come chinarsi, far rimbalzare una palla e riprodurre dischi mentre luci e diapositive si accendevano e si spegnevano in sequenze predeterminate. Il pubblico è stato invitato a spostarsi da una stanza all'altra a intervalli regolari durante l'evento, non più separato dagli artisti, e hanno sperimentato le stesse immagini e suoni di quelli che si esibivano. Il primo happening ufficiale eseguito all'interno di una galleria, 18 Happenings, porta influenze tipiche del Neo-Dada.

1964 Cut Piece

Artista: Yoko Ono

Cut Piece di Yoko Ono, eseguito per la prima volta nel 1964, era un invito diretto a un pubblico a partecipare a uno svelamento del corpo femminile proprio come avevano fatto gli artisti nel corso della storia. Creando questo pezzo come un'esperienza dal vivo, Ono cercava di cancellare la neutralità e l'anonimato associati all'oggettivazione delle donne nell'arte da parte della società. La Ono rimaneva in silenzio su un palco mentre gli spettatori le tagliavano i vestiti con un paio di forbici. Ciò ha costretto le persone ad assumersi la responsabilità del proprio voyeurismo e a riflettere su come anche la testimonianza passiva potesse potenzialmente danneggiare il soggetto della percezione.

1971 Shoot

Artista: Chris Burden

Già nelle sue prime performance dei anni '70, Burden si era messo in pericolo, mettendo così lo spettatore in una posizione difficile, intrappolato tra l'istinto di intervenire e il tabù contro il contatto e l'interazione con le opere d'arte. Burden si è messo di fronte ad un muro e un amico gli ha sparato ad un braccio con un fucile, mentre un altro collaboratore documentava l'evento con una telecamera. È stato eseguito davanti a un piccolo pubblico privato. Una delle performance più famose e violente di Burden, tocca l'idea del martirio e l'idea che l'artista possa svolgere un ruolo nella società come una specie di capro espiatorio. Questa performance sembra l'evoluzione dei "Shooting painting" di Niki de Saint Phalle del 1961, in cui l'artista sparava con un fucile direttamente a sacche di colore sulla tela che, esplondendo, componevano l'opera. Ora è il martirio dell'artista stesso a comporre l'opera.

1972 Seedbed 

Artista: Vito Acconci

In Seedbed l'Acconci ha posato sotto una rampa su misura che si estendeva da due piedi su una parete della Galleria Sonnabend e scendeva fino al centro del pavimento. Per otto ore al giorno nel corso della mostra, Acconci si è sdraiato sotto la rampa masturbandosi mentre gli spettatori camminavano sopra la sua nicchia nascosta. Mentre eseguiva questo atto illecito, pronunciava oscenità verso gli ospiti della galleria attraverso un autoparlante nella stanza. Il pezzo pone l'artista in una posizione sia pubblica che privata.

1983-84 Art/Life: Performance di un anno (aka Rope Piece)

Artista: Linda Montano e Tehching Hsieh

Per la durata di un anno, Montano e Hsieh sono stati legati l'uno all'altro da un pezzo di corda di 8 piedi. Esistevano nello stesso spazio, ma non si potevano mai toccare. Nell'idea originale di Hsieh, la corda rappresentava la lotta degli umani tra loro e i loro problemi con la connessione sociale e fisica.



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