Artravelling: Leonor Fini: Donne nell'Arte del Novecento

giovedì 31 dicembre 2020

Leonor Fini: Donne nell'Arte del Novecento



“Come hanno fatto molti delle sue coetanee, in particolare Leonora Carrington e Remedios Varo, Fini ha esteso la sua concezione del femminile sia al mondo naturale che ai fenomeni soprannaturali della magia e dell'alchimia. I suoi vari ritratti di sé stessa con, o come, animali testimoniano questa identificazione.” (Ara H. Merjian)
Leggendo queste parole è naturale che la Fini sia la protagonista di questo nuovo capitolo e ultimo post dell’anno di Donne nell’Arte del Novecento. Ha avuto una vita movimentata costellata di nomi altisonanti, come Funi, De Pisis, Moravia, Breton, De Chirico... che ne sottolineano l’importanza e tra i quali lei si muoveva come un’attrice su un palco prestigioso. Lei invece si ritrovava sulla tela, protagonista di ogni opera, in una continua e profonda ricerca.

“Mi dicono: avresti dovuto fare l'attrice. No. A me interessa solo l'inevitabile teatralità della vita”

Leonor Fini nacque nell’agosto del 1907, dal matrimonio di Herminio Fini, un ricco uomo d'affari italo-argentino, con Malvina Braun, originaria di Trieste. La donna comprese presto che suo marito era un uomo tirannico ed eccessivamente religioso, e decise di lasciarlo, scappando dalla vasta residenza di Buenos Aires, situata su un’isola, per tornare dalla famiglia d’origine con la figlia di soli diciotto mesi. Trieste allora era ancora situata nell'impero austro-ungarico e la città divenne italiana solo nel 1921. Leonor, chiamata dalla madre Lolò, trascorse la sua infanzia in un ambiente familiare vivace e colto, composto da soli adulti, ma era costretta a travestirsi da maschio e tenere i capelli corti per sfuggire ai ripetuti tentativi del padre di rapirla per strada e riportarla in Argentina. Lei non avrà più occasione di rivederlo, ma molti anni più tardi dipinse un'opera intitolata "Voleur d'enfant" in cui le mani di un uomo si avvicinano furtive verso una culla in cui dorme un neonato.


Sin da piccola adorava disegnare e vi dedicava la maggior parte del suo tempo. Aveva una grande creatività e un forte spirito di osservazione, ma sentiva anche il bisogno di essere costantemente rassicurata da parte di chi le sta vicino. Il suo talento artistico dava grande gioia e la fierezza a sua madre. La scuola invece non le piaceva particolarmente perché era una bambina timida con gli estranei da una parte ed insolente contro l'autorità dei professori dall’altra. In classe era molto indisciplinata cosa che la fece risultare mal vista presso tutti i professori, ma le fece conquistare l'affetto e l'ammirazione delle sue compagne che la idolatravano. A quindici anni, dopo una lunga malattia agli occhi chiuse con la scuola e si dedicò esclusivamente al disegno e alla pittura. Il suo primo autoritratto, realizzato a sedici anni, rappresentava sé stessa giovane come era in quel momento accanto a una sua versione già anziana. La sua versione invecchiata assomigliava molto a sua madre. Quest’opera dimostra oltre a una già buona padronanza della tecnica anche una riflessione su sé stessa e sul suo divenire.

È nella sua infanzia che Leonor trae le radici della sua estrosa personalità: "ancora bambina, da un giorno all'altro, ho scoperto l'attrazione delle maschere e costumi. Vestirsi è lo strumento per avere la sensazione di un cambiamento di dimensione, specie, spazio. Vestirsi è un atto di creatività. E questo vale per sé stessi che diventano altri personaggi o il proprio personaggio. Si tratta di inventarsi, di essere trasformati, di essere apparentemente mutevoli e molteplici come si può sentire dentro di sé. È l'esteriorizzazione al di sopra delle fantasie che ci si porta dentro è un'espressione creativa allo stato grezzo". La filosofia del travestimento e l'ebbrezza del divenire e dell'apparenza predicata da Nietzsche. A Trieste acquisisce una cultura cosmopolita, tra i circoli letterari e intellettuali d'avanguardia propri della città, intrisa del pensiero di Freud. Intorno agli anni trenta frequentava lezioni di pittura presso Edmondo Passauro e Carlo Sbisà, di cui realizzò dei ritratti. Partecipa all'esposizione del sindacato fascista di belle arti con tre ritratti tra cui quello di Italo Svevo.

Si reca a Milano e inizia a partecipare ad esposizioni collettive. Entrare in contatto con gli artisti del Novecento, tra cui Carrà, Funi e Sironi, la poneva a confronto con il mondo artistico milanese che sentì subito opprimente e da cui assimilò un eccessivo classicismo. Il maschilismo imperante di questi circoli e il modo in cui gli artisti si pongono di fronte alle artiste che si affacciano a questo mondo, definite dallo stesso Carrà “donne scarabocchianti”, la annoiava. Le continue discussioni all’interno del movimento, la confusione che alcuni creavano e la presunzione verso i artisti del passato, la portarono ad allontanarsi verso lidi più interessanti, Parigi.

Partì in treno da sola per poterla visitare con calma e sul treno conobbe De Pisis che la invitò al caffè Les Deux Magots, un caffè parigino del quartiere di Saint-Germain-des-Prés, nel VI arrondissement, ritrovo degli artisti del passato e del presente, un angolo della affascinante storia di Parigi. Alla fine del ‘800 vari scrittori come Paul Verlaine, Arthur Rimbaud e Stephane Mallarmé avevano l'abitudine di incontrarvisi per bere assenzio. All’arrivo della Fini il caffè era il ritrovo dei surrealisti sotto l’ala di André Breton e frequentato da artisti come Picasso, Léger, Prévert, Hemingway, Sartre e Man Ray. 

Il surrealismo inizialmente la affascinava, e ispirata dalle sue teorie, ne sperimenta "disegni automatici e metamorfici". La sua tavolozza si schiarisce, i contorni si ammorbidiscono e le figure si stilizzano allontanandosi dalla verosimiglianza con il modello. Fa amicizia con Bataille, Man Ray, Éluard e il classico Max Ernst,  con cui intreccia una breve relazione amorosa, ma senza mai entrare a far parte ufficialmente del gruppo surrealista I lunghi incontri e manifesti le stavano troppo stretti, che questo atteggiamento gli valse l'inimicizia di André Breton. Preferisce esplorare da sola questo universo onirico, caratterizzato da personaggi con gli occhi chiusi, molto spesso donne o autoritratti, figure androgine, languide ed erotiche, protette da sfingi crudeli. La sua donna era strega o sacerdotessa, bella e sovrana. I caratteri dei suoi personaggi si fanno inquietanti. La sua ricerca verteva sulla femminilità e il suo lato oscuro, ispirandosi a temi come il travestimento e l'amore.

 Il personaggio Leonor Fini completa la complessità del suo mondo artistico, fatto di teatralità, pittura, incisione, scrittura e design. Il suo modo di interpretare la sua vita è esso stesso parte della sua arte. Era un personaggio che metteva soggezione e venne spesso ritratta nuda a Cartier Bresson e Man Ray. Era molto orgogliosa del suo corpo. Era una donna intelligente e spiritosa, questo le permise di creare velocemente una cerchia di personalità come Dalì, Gala e Paul Eluard di cui divenne amica intima. Il suo comportamento era spesso pensato per provocare, soprattutto con abiti vistosi e parrucche colorate che mettevano in soggezione. Indossava vestiti sontuosi, con trucco vistoso da sembrare una dea. In casa esponeva numerosi suoi dipinti e tanti oggetti acquistati negli anni da antiquari e rigattieri, spesso con motivi floreali. 

La stilista Elsa Schiaparelli, che insieme a Coco Chanel, veniva considerata una delle più influenti figure della moda nel periodo fra le due guerre mondiali, le commissionò il flacone del suo profumo Shocking! che riproduceva le forme del corpo di Mae West. In questi anni collaborò con diversi artisti surrealisti come Elsa Triolet, Alberto Giacometti, Meret Oppenheim, Picasso e Dalí. Con loro realizzò pezzi come il bracciale di metallo e pelliccia con Meret Oppenheim, gioielli disegnati dalla Triolet e venduti dal marito Louis Aragon, spille con Giacometti, e i guanti finti dipinti sulle mani da Picasso.

 La seconda guerra mondiale la fece allontanare da Parigi: trascorse parte dell'estate del 1939 con Max Ernst e Leonora Carrington nella loro casa di Saint-Martin-d'Ardèche. Su una pista da ballo di Monte Carlo, incontrò il diplomatico italiano Stanislao Lepri che divenne subito il suo compagno, che dipingerà e con il quale partì per stabilirsi a Roma, entrando a far parte di l'entourage di Elsa Morante, Alberto Moravia, Federico Fellini e, suo assistente, Pier Paolo Pasolini. 

 “Poi viene Leonor. Le finestre diventano luce, le ragnatele tende preziose di nuvole e stelle, i rami secchi doppieri accesi, e la sera una grande serata” Elsa Morante

Si manteneva facendo ritratti e nella la sua collezione figureranno tantissimi personaggi famosi. Dipinse anche l'opera "La pastorella di Sfingi" acquistato da Peggy Guggenheim per la sua collezione di Venezia, e l'emblematico "Le bout du monde" in cui si sente l'inesorabilità della fine, il trionfo della bellezza e l'energia della natura nell'ora più buia e solitaria. Finita la guerra ritornò a Parigi dove riallacciò i contatti con il mondo artistico rimasto. Leonor rimase spesso ritirata dal mondo, ma non senza festeggiamenti: i grandi balli in costume degli anni 1946-1953, dove le sue apparizioni "come gufo reale, felino grigio o regina degli inferi" erano spettacolari, ne facevano una personalità mediatica. In estate si rifugiava in un antico convento abbandonato in Corsica, dove veniva raggiunta da tanti amici e in cui organizzava feste grandiose, teatrali e cinematografiche. La sua pittura ritrova una luce vivace e aperta, e illumina i ritratti, i fiori, l'erotismo e la simbologia che diviene nuova fonte di ispirazione. La donna rappresentata da Leonor è soprattutto una sfinge dallo sguardo ipnotico, emblema dell’enigma e del passaggio. Anche nella pittura di questa artista, come in quella di Carrington e Varo, la donna è colei che possiede il segreto del ciclo della vita e della morte, un ciclo in cui tutto partecipa della stessa energia vitale, che è unica e riconduce a sintesi suprema tutte le opposizioni, come quella tra organico e inorganico, generazione e distruzione.



Tra ispirazioni preraffaellite e momenti di recupero floreale, gli anni sessanta e settanta sono dominati da un grande fecondità che però non sempre corrispose ad una omogeneità di tratti e di scelte. Leonor dipingeva molto, gran parte delle sue giornate le passava davanti al suo cavalletto, ma presentando al pubblico solo un numero esiguo di tele ogni anno. Si dedica alla sua adorazione per i gatti, raffigurate in numerose opere, spesso ironiche e sentimentali. Con la Morante e Anna Magnani venivano chiamate le gattare e dedicavano una fitta corrispondenza a questo argomento! Anche con la madre mantiene un forte legame, scrivendole ogni giorno. A lei confida la sua vera essenza, le sue più profonde paure che nasconde agli occhi del mondo, a volte troppo imprigionata nella perenne parata di sé stessa. 

Le relazioni epistorari avevano grande importanza: ogni giorno Leonor dedicava circa due ore alla corrispondenza. Interessante l'amicizia intauratasi negli anni con la Carrington. L'amicizia è documentata nelle lettere scritte da Carrington a Fini nell'autunno e nell'inverno del 1939. Una corrispondenza iniziata a Parigi nel 1937, e intensificata dopo l'arresto di Ernst nel 1939, che afferma la forza dei legami che esistevano tra i surrealisti e incoraggia anche una rivalutazione del significato e della qualità delle amicizie femminili per le artiste nel circolo surrealista. Inoltre forniscono nuovo materiale sulla vita creativa di Carrington e sul suo stato d'animo durante questo periodo critico. Indicano l'ammirazione dell'artista più giovane per la già affermata e indipendente Fini, registrando un'intelligenza creativa indipendente che ha permesso a alla Carrington di interiorizzare il trauma subito e trasformare le sue dinamiche in espressione artistica.

Il suo slancio creativo continuerà per molti anni anche in periodi molto difficili della sua vita. Tra gli anni settanta e ottanta perse l'amata madre, spezzando gli ultimi legami con la sua terra d'infanzia, e alcuni dei suoi più cari amici ed amanti, riportando i toni cupi nella sua pittura. L'artista si fa maggiormente introspettiva, le sue scelte si spostarono verso tematiche nordiche ispirate anche dal pittore svizzero Füssli e William Blake: sono gli anni della cosiddetta "Kinderstube", ovvero la "Camera dei ricordi", ove figure femminili sospese tra la sfinge e la bambola sono circondate da esseri inquietanti e asessuati. Il rimando all'eros è sempre più evidente, le figure danzano su uno sfondo scuro opprimente e le composizioni sembrano uscire da un allestimento teatrale per un'opera di Ibsen.

L’opera della Fini si può ricondurre a quattro momenti precisi in cui i cambiamenti di vita coincidono con l’ispirazione artistica che riversa nelle sue opere. Il primo periodo, la sua formazione, si sviluppa con la grande influenza che esercita su di lei il movimento del Novecento e una pittura tendente al classicismo; l’evoluzione verso la maturità è un approfondimento psicologico attraverso una visione surrealista a cui però non aderirà del tutto; nel periodo successivo alla guerra ritrova una gioiosa trasformazione in uno spirito più libero e leggero, sensuale e floreale, che coincide con il Flower power del movimento Hippy; ed infine un ultimo ripiegarsi su sé stessa alla ricerca di un’infanzia perduta sottolineata da un ritorno a uno stile più cupo ed opprimente. Questa divisione è molto schematica, perchè Leonor ha continuato a sperimentare varie arti come il teatro, la produzione di gioielli, la fotografia e tecniche pittoriche come l'astrattismo, il tachisme, esperimenti surrealisti e l'acquarello a cui è sempre stata particolarmente legata per l'immediatezza di esecuzione che permette.
Durante tutta la sua produzione, soprattutto sul finire degli anni trenta, ha fatto riferimenti ad artisti classici come Van Eych, Tiziano e Dante Gabriel Rossetti. Vi si trovano riferimenti all’alchimia o a opere cariche di significati simbolici come il Hypnerotomachia Poliphili. Come per Eleonora Carrington lo scoppio della guerra produce dei forti sconvolgimenti nella sua vita e da qui riflessioni più profonde, come l’orrore della perdita e del sacrificio. In quest'opera la Fini afferma che il palazzo è crollato proprio a causa della guerra. Nei suoi autoritratti il volto è serio e pensieroso: particolarmente interessante è “Le silence” del 1940 che si ispira a “Melancolia I” di Durer, sia nella composizione che nell’atmosfera sospesa. 

"Importante è la perdita di coscienza, il felice affondamento di sé stessi. L’avanti e indietro di uno swing inizia con euforia e risate per diventare assenza e vertigini, da qui la difficoltà di fermarlo: l'attrazione del vuoto."

 La paura di invecchiare, si faceva ritoccare la carta d’identità per ringiovanirsi, e la paura della solitudine la colsero al termine della sua lunga vita. Nel suo appartamento di Parigi viveva circondata dai suoi diciassette gatti, da cui non si separava mai e che erano spesso il soggetto dei suoi quadri. Come lascito testamentario chiese ai suoi eredi di permettere ai suoi gatti di vivere il resto della loro vita in quel appartamento mentre lei riposava con i due uomini della sua vita, Kot e Stanislao, riuniti in un abbraccio nel piccolo mausoleo a tre che svetta nel camposanto di Saint-Dyé-sur-Loire nella campagna francese.

“Tutta la mia pittura è un incantesimo in un’autobiografia di affermazione che esprime l’aspetto pulsante dell’essere”

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